QUELLO ERA IL GIORNO ( 3)

E spiccava spesso su quel praticello – pressoché alla medesima altezza rispetto al livello del davanzale delle finestre del piano più alto-un totem immobile, una macchia nera e opaca,che contrastava sul giallognolo illividito di un cumulo scomposto di erbe falciate e ormai marcescenti, accumulate a lato inerti e come di fretta.Era uno dei due felini allo stato semiselvatico che si aggiravano spesso in quella parte della frazione,padroni degli esigui appezzamenti e dei più ampi impiantiti di pietrame autoctono, che contornavano edifici per la maggior parte abitati unicamente nei periodi estivi. Quel gatto appallottolato al sole d’autunno era l’unica solitaria presenza di quell’angolo,all’estrema propaggine di una delle due strade che permettevano di raggiungere il paese,la più bella come panorama naturale, la meno usata dopo la frana che l’aveva interrotta per anni, prima di un suo parziale ripristino.Da quell’angolare osservatorio perimetrato strettamente, il cielo le pareva altissimo. E nel contempo stranamente vicino, tanto che gli stormi di uccelli ora in migrazione le sembrava di riuscire a toccarli quando – lanciando grida stridule e a improvvise ondate cuneiformi spezzavano il velame di un cielo spesso neutro e di luce bassissima, mentre invece l’alba era anch’essa lattiginosa ma fulgente con il sole molto più aderente su quella linea dell’orizzonte che per il momento rimaneva occultata dagli alberi altissimi e di un verde compatto che riempivano disordinati massivi -e attorti l’un altro- le due altre parti laterali di quella sua casa alta e stretta.Il lato destro rivolto a sud era fortemente limitato dal protudere massiccio della seconda abitazione contigua mentre dalla parte di quella che si poteva definire per consistenza una terza delimitazione –a millesimale aderenza confinaria con un exstallatico rimesso a nuovo-occhieggiava verde tra il verde una cancellata laccata che doveva permettere a fil di piombo una antica servitù di passaggio. L’intero panorama – con la sua attuale ma non sempiterna sovrabbondanza di verde che la circondava – e con le parti divisorie di cancellate e muretti a filo spinato e cinte plastificate e provvisorie- in attesa che le siepi di red robin crescessero esponenzialmente come lei sperava-le dava un senso torbido di recinzione sia pure nell’ampliamento da quinta teatrale- mirabile risultato di una falsata dilatazione prospettica-nello sperdimento solitario in quella natura incontaminata ,che arrischiava – in certe particolari giornate -di diventare soggiogante ai limiti di una qualche fredda sopraffazione emotiva come lei potesse mai naufragarvi senza scampo:l’angolo ultimo della porzione della frazione rurale digradava sassosa su due livelli ,ognuno dei quali presentava in posizioni e per motivi differenti un alto muraglione di contenimento- due arcaici terrazzamenti che finivano per incunearsi, dopo una curvatura stortignaccola e dissestata, nella vecchia stradina di cui man mano che la stagione autunnale progrediva lei poteva occhieggiare –pallido nel tremendo accerchiante verdeggiare-lo strano lucore serpentinesco, in un’aria polverosa e tintinnante di echi mai uditi,di occultate storie crudeli sul punto di essere svelate.
E presto sarebbe giunto -l’inverno.

2 commenti

  1. molte grazie alla cara Meth, a “salequantob”: grazie a voi!

  2. ringrazio federica Galetto, molto
    ciao!!


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