Quel giorno il cielo biancastro e molto basso sull’orizzonte annunziava l’arrivo di un’aria meno temperata, a segnare un brusco riassestamento a quello che sarebbe dovuto essere il tempo adatto al mese di novembre.
Dopo quella estate anomala e siccitosa, perfino i mesi autunnali avevano portato invece del tradizionale – e graduale- sfavillio di un cromatismo trascolorante e infiammato un’ immediata omogenea colorazione di uno stinto opaco giallognolo e di un ruggine ferroso , sullo sfondo di una incipiente monotona terrosità tipica di quelle zone in fondo brulle e che avrebbe però dovuto essere evidente in tutta la sua crudità solo nei lunghi mesi invernali.
Dopo la strada che a partire dal bivio immetteva curvilinea e senza eccessivi dislivelli -tranne quelli dovuti a una scarsa manutenzione della ricopertura di asfalto – in quella angolatura appartata che portava a tre differenti frazioni , ci si doveva come inabissare in un improvviso insensato avvallamento tra due abitazioni per poi inerpicarsi a strappi tra curve e controcurve-fino al paesucolo sovrastante, alla cui sommità un oratorio ottagonale pareva una specie di discrime tra due frazioni in posizioni divaricanti.
Un po’ spostata rispetto all’esatto inizio di quell’avvallamento esito di una variante rispetto alla strada originaria ritenuta troppo stretta- spuntava in posizione superna una malmessa segnaletica piantata di sbieco all’interno di una piccola striscia di terreno ora ridotto a selva miserabile e che era stato uno stretto orto dove una volta fiorivano incredibili e diversificate zucche curate maniacalmente da una coppia di fratelli scapoli ritornati dalla francia – si trattava di una squilibrata impalcatura . una specie di rozza croce su due paletti di diversa lunghezza, uno molto piccolo,-su cui c’era una scritta dilavata indicante il nome dell’agglomerato rurale l’altro molto lungo e dalla sommità appuntita a forma di lancia ,quasi un totem adatto a mostrare a quanti passassero un avvertimento pari alle grida manzoniane o a cartelli di pericolo incombente – lì era stato appeso un pupazzetto che le intemperie annose avevano ridotto a un miserabile oblungo straccetto grigio, del medesimo lividore del cielo basso di quella giornata : facendo uno sforzo di osservazione per capire che cosa era prima della distruzione si poteva alfine dedurre-tirando un po’ a indovinare –che si doveva trattare dei resti filamentosi di una scimmietta , sul cui muso allungato e prognastico erano in evidenza abnorme solo due occhioni color uovo e con inchiostrate pupille immobili, che gli davano ancora- pur nel resto del devastato corpicciattolo color topo una espressione di tristezza meditante e pervasiva, l’impressione disagevole era che a quei resti mancavano solo delle lacrime vitree. —”