L’ INCUBO DI CARMEN E L’INCUBO DE IL RAGIONIER TOPPETTA

E’ una bieca alba, con un che di presago. Carmen si alza, nella torva nottata ha sobollito, ora
è arduo affrontare la quotidiana vessazione del mondo..
Carmen volontaristicamente si attrezza:  è edotta ormai, delle torture crudità lesioni tare, dei crucci e dei tristi detrimenti, delle crofiggenti afflizioni tarpature detrazioni, delle fermentanti nichilistiche abiezioni, in un panorama di burocratica brutalità tutto sa.
Poichè stremata è, con lentezza dilatata,in ogni gesto più semplice, cerca di equilibrare, di scolorare nella caliginosa porca realtà dimidiante, meglio autolimitarsi operare contenimento onde mimetizzarsi e dunque sopravvivere.
S’affoca la giornata, Carmen si strugge.
Si prepara all’asservimento esteriore ai piccoli prevaricatori ordinari, dovrà operare una grossolana schematizzazione psicologica nei suoi incontri onde rendere meno molesto possibile il contatto. Dovrà limare in anticipo il possibile spasimo, opporre alla verminosa proliferazione delle astrazioni puntute un rimedio omeopatico, avvelenarsi un po’ per non schiantare. Dunque alla fine esce, e per prepararsi ad affrontare il ragionier Toppetta o forse la signora Tardito o finanche l’esimio professor De Villis pronuncia tra sè e sè:"Sempre compassionare fu tempo perduto, l’esistenza è tremenda e non muta per questo, meglio stringere i denti e tacere".
Ecco , il rumorio dello scatto dello spioncino, dunque non desistevano mai i controllori, mai!
Provò dell’astio, Carmen, verso quell’occhiuta determinazione senza pietà, cominciò a snervarsi: la giornata era di nuovo all’insegna dell’ossessione scabra.
Il ragionier Toppetta segnò l’orario di uscita, le modalità del vestimento, la conformazione estetico-espressiva: il nervo ottico memorizzò la visione di un paio di sandali rossi a tacco alto,feticcio carnale di prevedibili incontri non certo costumati…
Il rovello di Mister Toppetta cominciò subito, la domanda era dove come si sarebbe svolto l’incontro; all’inizio fu una vagula apprensione poi, man mano che si precisavano alcune possibili determinazioni, il tutto si trasformò in una flussione lunatica, dove impressioni approssimative si mischiavano a dati monotoni e bruti, dando origine a compulsione morbosa.
Ecco, l’oscena gigantografia del paio di sandali a tacco sottile trafiggenti come stiletti, l’aria ammorbata da insidiosi voraci insetti dalle proporzioni abnormi , dall’apparato boccale in inarrestabile movimento succhiante;sembra che la tremebonda signorina Gigliola stia per essere straziata dall’ammasso vorticante: non è cosi, con affanno e stentatamente (tutto è cosi goffo,cosi raffazzonato) riesce ad arrampicarsi sulle scarpe a stiletto, alla fine dominatrice di un popolo di insetti ridotti all’impotenza nonostante il proditorio attacco pungente.Non c’è incanto, nella peripezia vittoriosa, la nuda signorina Gigliola ha un volto cereo e vene azzurre  vi affiorano….
Il ragionier Toppetta si sente attossicato da una bacata impervia maledizione,le sue sensazioni e i suoi pensieri non sono più come quando non aveva a che fare con Carmen, subiscono una sorta di abominevole distorsione, la sua immaginazione è ora diventata un qualcosa di lutulento.
Avvilito, vacilla paurosamente. E’ stretto tra due opposte possibili decisioni, compiere un’azione inconsulta nei confronti della colpevole Carmen, origine di questa CORRUZIONE IMMAGINATIVA.oppure scegliere di rimanere succube dell’azzardo infuocato e cercare di contattare la signorina Gigliola,dando decorso all’inaudito…Tutto è cosi terribilmente angoscioso, la consumazione dell’ azione è comunque un crimine, più o meno traslato…Nell’incertezza, sceglie di non scegliere, almeno per il momento si propone di dare mostra di un’inaudita indifferenza, rimettendosi alla sua metodicità salvifica e produttiva.
Intanto Carmen passeggia su strade ingombre, è un movimento brulicante di gente,viene facile pensare alla miriade di sciami insettivoria ssedianti la virginale Gigliola…
Attività di ogni tipo fervono instancabili senza un attimo di sosta, è una macchinale frenesia vibrante.
Carmen, insidiata da una greve voluttà, desidera una volta tanto immergersi nella consumazione vitalistica, a costo di non riuscire a schivare le fauci del terragno gravame, la nerezza famelica del diaccio e dell’adunco: finora, non è ancora stata divorata e triturata, si è aggrappata a superflue astruserie, ha vanificato l’apparizione tragica con leziosità da gatto, con accorgimenti retorici. Ha dunque deciso, farà una copula con l’intero mondo, sarà(forse sarà) liberatorio farsi risucchiare nell’enigma sfinente della spuria torvità e delle pie sevizie. Tutto è del resto preferibile all’asservimento ad una straziante infinitesimale implosione.
Ella si fa beata onda nel movimento generalizzato, stinge nell’indistinto, cammina a piccoli passi, si muove con compostezza, nasconde la sua iperbolica intransigenza, rincorre un linguaggio convenzionale, dimentica la sua assuefazione ad un gusto dissacratorio.
E’ financo amorfa, se non fosse per il nero trucco degli occhi d’ambra, per quei tacchi fuori dell’ordinario, nell’orgia di omologazione stonano, terribilmente stonano.E’ tutto inutile, la sua è una vita di sfrodo, l’accorto l’acconcio le impacciate cautele non fanno per lei. Abbandona l’artificioso contegno, ritorna ad essere la dolente ed immaginifica Carmen.
Solo affronta i negozianti con un residuo di volgare disinvoltura, con loro si rivela una battutista ovvia e ilare, innocua dunque perciò stesso bene accetta.